Funakoshi

Con un profondo inchino, eseguito all’inizio e alla fine degli allenamenti, tutti i praticanti di Karate salutano un vecchio severo, che risulta effigiato in stampe o ritratti in quasi tutte le palestre.

Ma pochi, credo, sanno veramente chi sia quel misterioso personaggio, dallo sguardo severo ed altero, che sembra controllarli e a cui si deve tanto rispetto.
Si tratta in effetti di Gichin Funakoshi, di colui cioe’ che viene considerato il padre del Karate moderno.
Egli nacque a Shuri, nell’isola di Okinawa, nel 1868.
A lui si deve un’opera veramente instancabile e capillare di propaganda, il significato stesso di Karate-Do come lo intendiamo oggi, i primi importantissimi libri sull’argomento e le basi della moderna organizzazione delle tecniche.
A 13 anni, per ovviare alle lacune di un fisico esile e malaticcio, inizio’ a frequentare la palestre del nobile Azato, e poi quella di Ankon Itosu.
Nei vent’anni seguenti comunque, per ampliare le proprie conoscenza, studio’ anche le tecniche di tutti gli antichi maestri di Okinawa, cercando di fonderle e unificarle.
Questa esigenza di unita’ fu una delle sue caratteristiche.
Contrario al frazionamento in scuole distinte e contrapposte, Funakoshi cerco’ di tenere conto di tutto cio’che vi era di valido nel Karate di Okinawa, anche in scuole diverse, senza la pretesa di cristallizarlo in affermazioni assolute, ma ben conscio che anche le sue tecniche, attraverso ulteriori esperienze, si sarebbero evolute e modificate ad opera dei suoi successori.
Cosi’, al contrario di altri maestri, non volle dare un nome ufficiale alla suo scuola.
Durante quei vent’anni esercito’ la professione di insegnate nelle scuole primarie e si guadagno il soprannome di Shoto, per una poesia che aveva scritto e in cui esaltava il proprio amore per la natura.
Nel 1935 si apri a Tokio la famosa Shotokan, letteralmente Sala di Shoto, da cui infine prese il nome la sua scuola.
Dagli insegnamenti di Funakoshi, a parte i significati piu’ profondi dello Zen e ben difficilmente assimilabili per noi occidentali, ci viene comunque l’immagine di un Karate, in fondo molto umano, accessibile a tutti, privo di quell’alone di sensazionale e straordinario che lo ha sempre circondato, ci viene soprattuto una lezione di non-violenza, di rispetto, di impegno quotidiano, di grande modestia e umanita’ da parte di un uomo che, dopo aver dedicato al Karate tutta la vita, solo pochi mesi prima di morire diceva di aver capito la parata age-uke.